Plagio. Il caso Braibanti

Plagio. Il caso Braibanti

MOLO DI LILITH APS     16-12-2022 - 21:45

Ar.Te.Mu.Da. Teatro.

Aldo Braibanti, ex partigiano, poeta, filosofo, uomo di teatro, nel 1968 fu protagonista di un processo che divise l’Italia.
Mentre nel mondo infuriava la contestazione giovanile, con la richiesta di diritti civili e maggiore libertà sessuale, il caso Braibanti divenne un'arma per colpire chi la pensava diversamente.

Il 14 luglio 1968 la Corte di Assise di Roma condannava Aldo Braibanti a nove anni di reclusione, ridotti a quattro in appello. Per la prima volta con questa sentenza veniva applicato un articolo del Codice Penale che prevede un reato di natura complessa come quello di "plagio". L’intellettuale alla fine scontò due anni in prigione, gli altri due gli furono condonati in quanto partigiano della Resistenza.
Quella che in realtà fu condannata è l'omossessualità di Braibanti.

A nulla valse il sostegno e la presa di posizione di personaggi illustri come Marco Pannella, Pier Paolo Pasolini, Elsa Morante, Alberto Moravia, Dacia Maraini e Umberto Eco. Il processo a Braibanti fu l’ennesima prova dell’atteggiamento dichiaratamente ostile agli omosessuali della magistratura italiana.
A ciò si aggiunse come negli altri casi la macchina del fango azionata dal potere mediatico, che attraverso articoli e servizi aggressivi e dai toni sensazionalistici, contribuì ad alimentare la gogna e lo sdegno pubblico verso queste figure, perfetti capri espiatori del sistema conservatore e moralista italiano.
La condanna di Braibanti, nello specifico, doveva risultare esemplare, perché questo, oltre a essere dichiaratamente omosessuale, era anche comunista ed ex partigiano.